PRIMO PIANORICORDI

Per Arnaldo

La scomparsa di Arnaldo Benassi, il bellissimo ricordo dell'amico Tullio Masoni.

(di Tullio Masoni)

Nel senso della “vocazione”, cioè della misteriosa chiamata senza la quale anche il più dotato si perde, Arnaldo era un artista. Un naif autentico, quindi lontano dalla maniera fissata dai cataloghi; ed era un umorista. Avrebbe potuto eccellere nel fumetto; le poche volte che l’ho visto provarci sono rimasto sorpreso dal segno facile, dalla rapidità e dalla “noncuranza”.
Non sempre gli artisti sono autoironici. Arnaldo viveva l’autoironia come un gioco con gli altri e se stesso. Più di una volta ho sospettato mi mostrasse una tela avendo calcato le tinte o la retorica per il gusto di ascoltare le critiche. La prima occasione di verificarlo fu una mostra in biblioteca nella quale aveva esposto due o tre quadri, fra cui il più ambizioso rappresentava una scena di bigliardo. Prima di prendere la scala per uscire, fra serio e faceto come sempre, affermò: «Io poi voglio vendere, eh!» Il contrappunto della Rossana doveva arrivare subito: «…ma cosa vuoi vendere!..»
Visitammo a Rimini, con la Rossana, la Milena e la Nadia Gualerzi nel 1982, la grande mostra di Lucio Fontana. Una ricca antologica che, a differenza di noi già “coltivati”, lo prese in contropiede. Noi ci entusiasmavamo, lui si aggirava per le sale perplesso e, ogni tanto, brontolava una domanda. Alla fine sostò davanti a un taglio verticale sul bianco: «Ecco – disse – questo mi piace. E’ come il cerchio di Giotto.»
Qualche giorno dopo gli feci visita e lui, con aria seria, mi disse che aveva dipinto un quadro ispirandosi a Fontana. Non riferisco come quel dipinto fosse, ma solo che era una parodia di piccole dimensioni. A nessuno avrei idealmente permesso di prendere in giro Fontana in quel modo: a lui, sì.
Arnaldo aveva amici di lunga data; io sono arrivato a S.Ilario tardi, nel 1970. Ci incontravamo fra pause lunghe, talvolta, ma sempre con la continuità di pensiero e sentimento che va oltre la piattezza abitudinaria. Stare bene insieme, nella mia esperienza, credo sia questo: superficie di slancio e profondità ogni volta che occorre: spesso, quindi.
Abbiamo giocato a tennis, visto partite di calcio e rievocato la gloriosa avventura dei Cariocas: sua, di Valerio, Uber e altri del bar Acli. Anche l’ultima volta che ci siamo visti gli è piaciuto ricordare l’unico gol segnato con quella maglia. Un gol in parte bello, in parte fortunoso. Lui, ovviamente, insisteva sulla fortuna, la casualità, sui favori del sole per lo stop del pallone che cadeva a picco.
E abbiamo fatto bei viaggi. Lui preferiva l’Italia e gli piaceva affidarsi alle particolari conoscenze della Milena. Una volta che andavamo su e giù per le colline senesi coperte di vigne in zona Montalcino, la Milena commentò: «Quanti grappoli!». Il contrappunto, sospiroso, quella volta non fu della Rossana ma suo: «Quanti bòtigli!».
In una frase riportata nel “ricordino”, Arnaldo invita alla leggerezza contro le fatalità della vita. Con lui era più facile, anche per i misantropi. Ma, nel modo naturalmente sublime che lo distingueva si può, senza illusioni, provare.
Ovunque cada il mio saluto ciao, Arnaldo.
Tullio

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