Vini e vinile: U2 “Rattle and Hum” e birra scura
Un boccale di birra stout per connettere il rock di Dublino con il gospel di New York, il soul di Harlem e Memphis e il blues del Mississippi
(di Massimo Bellei)
Vini e Vinile è sempre per me occasione per conoscere persone appassionate e per allargare i miei orizzonti musicali. Mi auguro sia piacevole anche per chi legge. Giordano Colli, di professione avvocato, mi ha raccontato il suo disco: “Rattle and Hum” degli U2. Ne è uscito un incontro che ci porta a spasso tra Irlanda e radici della musica anglo-americana, con in mano un boccale di birra scura.
Allora, il disco è quello lì…
non è certo un disco di nicchia, ha venduto tantissimo, ma all’epoca fu stroncato dai critici… quando una cosa è troppa bella lascia un po’ di invidia in giro. E’ uno degli ultimi album che ho acquistato prima di passare al cd; avevo 14 anni, e questo disco era proprio “mio”, nel senso che l’ho personalmente comprato io, a differenza di tanti vinili che avevo in casa che ho “adottato” dai miei genitori.
Ascolti ancora i dischi?
Io il giradischi non l’ho tenuto, quando sono uscito di casa nel 2002 è rimasto a casa dei miei e non l’ho più comprato. Con qualche nostalgia per il formato, meno per la qualità del suono: la brillantezza del cd mi piace più del suono ovattato del vinile. E’ ancora un gran bel giradischi: un Technics degli anni ’80 a presa diretta, ci ha dato grandi soddisfazioni. Ho cominciato ad ascoltare seriamente musica già da 10-12 anni, la passione musicale è arrivata dai miei genitori, che ascoltavano sia i cantautori italiani che la musica inglese e americana. Da lì in poi sono nate tante passioni.
Per tornare al disco…
Esce nell’88 ed è una folgorazione. Io gli U2 li ho scoperti con “The Joshua Tree”, come tanti. Il loro disco più famoso. E anche dopo aver scavato nei loro primi album, devo dire che non c’è un disco precedente a “The Joshua Tree” che mi convinca del tutto. E’ con quel disco, con quel cambio di sonorità più spostate verso gli States e le radici della musica americana, che gli U2 entrano davvero nelle mie corde. Questo e l’album successivo, “Rattle and Hum”. Ha un formato strano: un doppio, con in parte inediti in studio, in parte canzoni dal vivo; è uno dei motivi per cui venne criticato, mentre in questo caso ha tutto il suo senso. Ci sono versioni fantastiche dei loro classici, arricchiti da sapori soul, blues e gospel, e c’è l’ispirazione delle canzoni inedite, scritte durante quel tour travolgente. C’è un pezzo di storia della musica anglo-americana in quel disco: la partenza fulminante con “Helter Skelter” dei Beatles, i pezzi di Bob Dylan (che scrive e canta con Bono l’inedita “Love rescue me”), “Loves come to town” cantata con B.B. King, la leggenda del blues; poi i pezzi country-folk, le ballate, i rock tirati… tante contaminazioni che trasformano il loro sound irlandese in qualcosa di ricchissimo.
C’è un motivo personale che rende questo disco così significativo per te?
Due bei ricordi in particolare. La splendida ballata finale “All I want is you” è stato uno dei primi pezzi che ho imparato a suonare alla chitarra. Non mi sembrava vero che una canzone così bella potesse avere accordi così semplici! Per un principiante come me era un regalo inaspettato. Poi quel pezzo, “Angel of Harlem”… un soul trascinante che vale da solo tutto il disco. Era la canzone che mettevo sul piatto nei momenti caldi delle feste che facevo a casa con gli amici, quando i miei partivano per qualche viaggio lasciando campo libero… la cantavamo a squarciagola a un volume impossibile, metteva a dura prova le casse acustiche e la pazienza dei vicini di casa!
In genere a questo punto si deve pensare al vino adatto, per una degustazione completa di questo capolavoro musicale…
Certo, ma c’è un fatto: gli U2 sono birra, non vino, e birra scura, “stout”. Ma la birra scura è anche un ponte ideale fra l’Irlanda e gli Stati Uniti, proprio come “Rattle and Hum”, che mette in contatto Dublino con Harlem – New York, Memphis e il Mississippi.
E allora stavolta facciamo un’eccezione. La scelta di Giordano cade sulla stout “O’hara”, una scura che per il nostro ospite supera la più blasonata Guinness. Ma qui ci beviamo quella che ha Fosco in cantina.